Eversione è una parola il cui uso – in Italia specificamente, ma forse ovunque – non è privo di rischi, forse addirittura pericoloso, se non come stigma di un periodo storico punteggiato di violenza e stragi.
Il sillogismo è compiuto: nessuno vorrebbe subire ancora il male di quella violenza terrorista e stragista; la quale fu eversiva; perciò l’eversione è in sé maligna e pertanto da eradicare sul nascere, ostracizzando l’idea stessa, riprovevole e infamante.
Il primo atto di queste vane pagine è quindi quello di ridare dignità ad una parola, e al concetto che sta dentro, un atto di giustizia lessicale e morale, che schiude nuovamente all’eversione l’orizzonte del possibile.
Il pensiero eversivo è il primo, essenziale, indispensabile prerequisito di ogni rivoluzione, personale o civile che sia.
Ammettere che si possa evertere, che sia facoltà e diritto di ogni individuo pensare di poter radicalmente cambiare lo status quo, proprio o dell’intero Paese, fu alla base della rivoluzione francese, della primavera araba, delle proteste iraniane.
Il pensiero eversivo è alla base di ogni cambiamento, buono o cattivo che risulti, rispetto ad un dogma, ad una fede, ad un regime, ad un sistema previgente, e – nel piccolo – ad una routine soggettiva, ad un modo di vivere personale.
La violenza è una delle modalità con cui questo pensiero passa all’atto, ma non è l’unica e la storia dimostra che non è imprescindibile e nemmeno quella migliore.
Le stragi di cui sopra – per inciso – non ebbero nulla di eversivo, in quanto non nacquero da uno spontaneo desiderio di cambiamento popolare, ma da un tentativo di imporlo con la forza da gruppi più o meno organizzati, più o meno deviati, più o meno statali. Più subdoli e vigliacchi tentativi di colpo di stato che rivoluzionari.
Qui non si inciterà alla violenza – se non quella verso se stessi, funzionale e per nulla masochistica – per tre semplici ragioni:
- Stadio. Le pagine tentano di far sorgere nel lettore un autonomo pensiero eversivo, con l’esempio stesso della sua esplicitazione. Non è detto che quanto qui si mette in discussione, né come né perché lo si fa, sia condiviso dal lettore, che potrebbe quindi focalizzarsi su altri obbiettivi e/o arrivare ad altri risultati. Si concentrano quindi sulla fase interiore del processo eversivo, lasciando – per colpa o incapacità – ad altro/i il compito di passare all’atto.
- Libertà. Ammettere la libertà di non credere ad un dogma, a una legge, a una routine, significa ammettere la facoltà opposta di farlo. Proprio perché ammetto il diritto all’aborto non ammetto il dovere di abortire. La pretesa di rivendicare un diritto non violenta chi non lo vuole, poiché è libero di rifiutarlo. La sua negazione invece violenta sempre chi lo reclama.
- Efficacia. Per carattere e calcolo, considero i mezzi offerti dalla violenza – per quanto veloci e risolutivi possano essere – meno efficaci e sempre portatori di ulteriori problemi rispetto a metodi pacifici, per quanto duri e insindacabili. Annichilire Cartagine fu per Roma un’effimera vittoria, l’avversario è una ricchezza da far propria non da devastare o distruggere.
In queste pagine si troveranno temi a volte più politici, altre più sentimentali altre ancora dove si lascia campo libero al demone antico ispirato dalle Muse.
In nessun caso però questo spazio è stato pensato come uno sfogatoio becero e inconvulso, ma ha da sempre avuto l’ambizione di essere un laboratorio di idee professionale, rigoroso, studiato. Si attribuisca quindi il non raggiungimento di questo intento all’incapacità e non alla nolontà.
Il movente di tutto è la conclusione, una specie di satori razionale, che il primario scopo delle nostre vite, quello più alto e al contempo basilare, è il miglioramento delle condizioni in cui viviamo, noi stessi e gli altri. Ci sono professionisti che lo fanno permettendoci di riscaldare le nostre case a costo zero e senza impatti ambientali negativi. Altri che lo fanno aumentando i gradi di libertà del pensiero di chiunque. In entrambi i casi è essenziale che la conoscenza si perpetui e si diffonda, che i traguardi raggiunti da ognuno, per quanto tardivi e non originali, passino a qualcun’altro.
Per cambiare se stessi, si è sufficienti. Per cambiare molto di più occorre essere in molti.